CASO GAROFALO – L’eco di un no, Lea e la sua lotta alla ‘ndrangheta



“Cominciamo dalle piccole cose, dal non gettare la carta per terra , dal non danneggiare ciò che ci circonda per esempio, interessiamoci della quotidianità, non deleghiamo tutto ai politici, ognuno faccia il proprio dovere: anche questa è politica.”
Con queste parole si è conclusa la presentazione del libro“Il coraggio di dire no” di Paolo De Chiara.
I fatti di cronaca narrati nel libro riguardano la nota vicenda di Lea Garofalo, testimone di giustizia uccisa dall’ex compagno Carlo Cosco il 24 novembre 2009 e della sua personale lotta alla ‘ndrangheta, personale perché Lea ha sempre lottato da sola, nessuno mai le ha davvero teso la mano, nemmeno chi aveva tutte le carte in regola per farlo.
“Oggi e dopo tutti i precedenti mi chiedo ancora come ho potuto anche solo pensare che in Italia possa realmente esistere qualcosa di simile alla giustizia…”. Scriveva così, sei mesi prima di morire. Della vita, della mafia, delle ingiustizie Lea aveva solo da insegnare, sapeva tutto perché agli occhi vigili di una donna non sfugge mai nulla, soprattutto quando è ferma, immobile ad osservare. Lea ha passato la sua vita a scrutare quello che la circondava, Lea era esausta del “puzzo della ‘ndrangheta”che non le lasciava respirare aria sana, Lea non poteva permettere che sua figlia crescesse in un ambiente così inquinato. Lea voleva parlare. Una donna con la d maiuscola è come la verità, prima o poi deve emergere. Lea parla, con la coscienza pulita, svuota quell’accumulo di marciume che ha raccolto negli anni. Lea rifiuta le catene. Lea diventa una testimone di giustizia.
De Chiara insiste sul termine ‘testimone’. Nel suo discorrere tra le principali tappe della triste vicenda, si sofferma a spiegare le imprecisioni di tanti che si accontentano di informazioni approssimate e che scambiano la donna per una collaboratrice di giustizia, definizione del tutto fallace data la completa estraneità della stessa da qualsiasi affare gestito dai Cosco. Lea non si è mai sporcata le mani.
Quelle“bestie”, essenza di quel sangue che è solo freddo, la seguono, la controllano, le rendono la vita impossibile, la costringono a scappare in continuazione e Denise, nume di Lea, le tiene salda la mano e le dà la forza di andare avanti nella sua gloriosa impresa: denunciare quei “vigliacchi”. Ma chi è la preda, chi il predatore?
Una donna che sa, incute più terrore di uomini armati di minacce e regole d’onore da rispettare. Lea conosceva il lieto fine delle fiabe di mafia, è sempre lo stesso e i suoi persecutori non desideravo che scriverlo, sentiva che sarebbe morta per mano loro, a caratteri di fuoco scriveva al presidente della Repubblica che “arriverà la morte”. Viveva in attesa di quel momento perché aveva capito che coloro ai quali si era rivolta ‘hanno orecchi ma non odono’.
In questa prospettiva il suo femminicidio, è una storia di mafia quanto di inadempienza da parte dello stato. Questa è una storia politica oltre che umana. Ma che tipo di politica? Con una p maiuscola o minuscola? È questo il punto di arrivo di De Chiara. Quale politica di stato doveva aiutare Lea? Chi ha fatto troppo poco? Chi, ancora oggi, si rifiuta di dare risposte alle innumerevoli domande rimaste in sospese? Con quale coraggio non si è riconosciuta l’aggravante mafiosa almeno agli esecutori materiali del delitto? Indignatevi, scriveva Hessel.
Borsellino diceva che politica e mafia sono due poteri che vivono sul controllo dello stesso territorio: o si fanno la guerra o si mettono d’accordo. Supponiamo che si mettano d’accordo. In troppe circostanze gli accordi si rivelano tutt’altro che taciti, questo caso è uno di questi? Ai posteri ardua sentenza. Di certo c’è che il coraggio di uno su un milione non basta a cambiare le cose e che in molti si limitano a parlare per riempire i vuoti incolmabili che tutti i martiri lasciano in terra. Le parole però non bastano, i vuoti che restano si riempiono con il buon esempio. Paolo De Chiara, uno tra questi. Riempe le parole di valore, il prediletto: legalità. Dialoga con ragazzi di ogni età, gira per l’Italia per combattere il silenzio assordante che la mafia osanna e per diffondere ventate di informazione necessaria.
E allora: parlate della mafia. Parlatene alla radio, in televisione, sui giornali. Però parlatene.
Di una cosa si può esser pur certi: quando persino i romantici non avran più voglia di lottare, Lea tornerà per consolar loro, come tornò, seppure per una breve passeggiata tra le strade di Napoli, la Francesca di Ermanno Rea . Il suo fantasma tornerà per dire tutto ciò che una giovane madre direbbe ai suoi figli sconsolati, guidata dal suo inconfondibile amore materno che le ha colorato la grigia esistenza dirà che serve ancora pazienza, tanta tenacia per sradicare radici profonde e che serve ancora tanto coraggio, soprattutto il coraggio di compiere l’impossibile.
Lella Lombardi
15 aprile 2013

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